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25 July 2013

Capri, viaggio millenario nelle dimore dell’utopia – IL MATTINO

di Massimo Di Forti

 

Gemma del Mediterraneo dai tempi dell’imperatore Tiberio, la mostra fotografica “Isole nell’Isola” ispirata al libro di Tito Fiorani

 

«Un mappamondo che non includa Utopia non merita neppure uno sguardo» ammonì Oscar Wilde, con l’abituale sorprendente acutezza. E Capri, sublime gemma galleggiante nel Mediterraneo, lo ha preso in parola moltiplicando gli effetti speciali del messaggio. Dai tempi dell’imperatore Tiberio attrazione fatale per spiriti illustri, poeti e filosofi, artisti e intellettuali, aristocratici e dandy, ha cullato innumerevoli utopie che hanno stabilito la propria residenza in ville regali o in più discrete abitazioni. Così, è un vero arcipelago di utopiche dimore quello che ci invita a visitare la mostra fotografica “Isole nell’Isola” (La Conchiglia Libri & Arte, in via Camerelle 18 a Capri) ispirata dall’omonimo libro di Tito Fiorani.

Dalla sfrecciante “Casa come me” progettata da Malaparte nel ’37 alla più intima Villa Monacone abitata da Monika Mann per lunghi anni, dalla sublime Villa Lysis voluta in stile Liberty dal conte Fersen alla piccola Casarella cara a Marguerite Yourcenar, «queste vite insulari», osserva Riccardo Esposito nella presentazione, «sembrano essere, spesso, un semplice autoesilio o un desiderio di perseguire una pervicace marginalità; altre volte appaiono come una sfacciata volontà di esaltare la centralità del proprio ego».

Le feste. Che storie, in quei luoghi scelti come preziosi rifugi o ribalte di mondane esibizioni da far invidia al grande Gatsby, tra sogni, eccessi e meditate riflessioni. A Villa San Michele, ricevuta in affitto dal dottor Axel Munthe (giunto dalla nativa Svezia e santo patrono culturale dell’isola per circa mezzo secolo) la divina marchesa Luisa Casati, che rivediamo in un’immagine di stellare totemica bellezza, esercitava l’arte della seduzione come poche volte è avvenuto, costringendo D’Annunzio, sempre dedito alla trasgressione e suo amante privilegiato tra i tanti, ad esclamare «È l’unica donna che mi abbia sbalordito!» o facendosi ammirare dall’esterrefatto scrittore Compton Mackenzie sdraiata nuda su una pelle d’orso…
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I protagonisti. Le tenne testa, sull’onda di nobili piaceri, il conte Jacques Fersen che nel 1905 fece costruire, nel posto che aveva ospitato duemila anni prima l’imperiale Villa Jovis di Tiberio, ribattezzandola poi Villa Lysis in omaggio al dialogo di Platone Liside ispirato al tema dell’amicizia e, nel suo caso, dell’amore omosessuale. Il conte, infatti, ci visse per un ventennio – tra moltissimi libri, altari e una fumeria d’oppio – con il giovane Nino Cesarini immortalato da foto, dipinti e, inserita in mostra, dalla statua sul terrazzo che domina la vista sul mare.

Tutt’altro tono segnarono il lungo soggiorno di Monika Mann a Villa Monacone affacciata sui Faraglioni, dove abitò e scrisse saggi e romanzi, legata per un trentennio al pescatore caprese Antonio Spadaro, o quello altrettanto struggente di Marguerite Yourcenar stabilitasi con Grace Frick nella appartata Casarella, dopo essere stata rifiutata da un uomo di cui era innamorata.

Il capolavoro. Curzio Malaparte, invece, volle lasciare sull’isola un suo personale e forte segno architettonico con una straordinaria casa protesa verso il mare sulla scogliera di Capo Massullo definita da Peyrefitte «un’astice lessato al sole». Progettata dal celebre giornalista e scrittore simbolo di vis polemica, è un capolavoro razionalista in perfetta sintonia con la natura del luogo, tra il rosso pompeiano delle facciate e la terrazza bianca, che si raggiunge percorrendo una scalinata trapezoidale scolpita sulle rocce con un ritmo quasi musicale. Certamente più dolce è la casa di Raffaele La Capria, coinvolto fin dal proprio nome nella leggenda dell’isola, che svetta con calma bellezza su un panorama da sindrome di Stendhal.
Le residenze dei sogni dei loro magnifici ospiti o proprietari sono davvero una corona di isole ideali sulla testa di Capri regina. Spesso, purtroppo, hanno subìto dolorose e gravi contaminazioni.

Ma «tutte», scrive Esposito, «in ogni caso,ci parlano, perché questo è quello che chi ha realizzato o abitato queste case voleva che succedesse: esse infatti, dialogano ancora con noi di un amore antico per questa terra, di passioni e illusioni, di gesti nobili e miserie umane, di vite vissute pienamente o di esistenze sprecate». Le leggende sono per sempre.

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