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16 July 2005

Capri. La storia a cinque stelle Lusso e vita bohémien in un testo della giapponese Kawamura – IL MATTINO

Come in pochi altri posti al mondo, a Capri la Storia e l’economia, oltre che il loisir e il gossip, passano per le camere d’albergo, grandi e piccoli, ma soprattutto carichi di glorie secolari. Dell’ospitalità l’isola di Tiberio ha fatto una bandiera, da sventolare in faccia ai pendolari, ai traghettati in questo paradiso per un solo giorno. Ebbene, questo stendardo di lusso e di vita bohémien, ora ha la sua consacrazione in un volume, firmato dalla giapponese Ewa Kawamura, Alberghi storici dell’isola di Capri, pubblicato da La Conchiglia (pagg. 334, euro 60), pieno zeppo di immagini e di antiche stampe, che passa in rassegna due secoli di vicende isolane, aggirandosi per corridoi e reception, accompagnandosi a ospiti illustri e padroni di casa che portavano il nome di Morgano, Pagano, Weber, Desiderio e Petagna (giusto per ricordare quelli dei quali l’autrice ricostruire l’intero albero genealogico).
Acqua ne è sbattuta sui Faraglioni da quando il primo viaggiatore moderno di cui si serba memoria scritta, il francese Bouchard, nel 1632, chiese ospitalità ai frati della Certosa, come pure toccò fare nel 1729 a Montesquieu. Per buona parte del Settecento, poi i viaggiatori alloggiavano nelle case dei pescatori a Marina Grande, perché la prima residenza che ospitò turisti risale al 1748 e fu l’edificio di Nathalien Thorold (poi palazzo Canale) che poco dopo divenne la casa del governatore di Capri. Il primo vero albergo fu quindi il Pagano, fondato nel 1818 e che sette anni dopo inaugurò il suo famoso registro.
Fu l’inizio di un proliferare di alloggi (prima molto lento, poi impetuoso) che portano nomi gloriosi: dal Quisisana (che nel Baedeker del 1896 è segnalato come «molto bello e pulito») a La Palma, dal Tiberio all’Eden Hotel Molaro (oggi San Michele) ad Anacapri. Con scrupolosità tutta giapponese, la Kawamura li elenca tutti, raccontandone storia, sviluppi architettonici, attrezzature e servizi, senza dimenticare di ricordare i giudizi di quanti in quelle stanze hanno soggiornato. E già a inizio Novecento c’era chi lamentava una superfetazione alberghiera. Rainer Maria Rilke temeva, nel 1907, che anche le vecchie mura della Certosa sarebbero cadute sotto i colpi di un «nuovo hotel Splendid, in ferro e cemento». Ignorando, per albagia da poeta, che a volte può esserci molto più lirismo in una camera d’albergo che in un fiore.

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