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18 March 2005

Ewers il nazista fece di Capri il palco dell’horror – IL MATTINO

di Giovanni Fiorentino

AUTORE HORROR e finanche splatter, esagerato sperimentatore, precursore di surrealismo e psicanalisi, sceneggiatore, scrittore di varietà, direttore del principale cinema di Berlino, saggista, traduttore, polemista, consulente per la propaganda del primo nazionalsocialismo, intellettuale ingombrante, strabordante, contraddittorio e infine, quasi di diritto iscritto alla straordinaria comunità di dandy che abitano Capri a cavallo tra Otto e Novecento. Basterebbe questo per avere un quadro almeno intrigante di Hanns Heinz Ewers, autore misconosciuto in Italia e che invece è popolarissimo in Germania nei primi decenni del secolo per i suoi romanzi bestseller dedicati al vampiro e i racconti dell’orrore, ma anche per il fatto di aver sceneggiato «Lo studente di Praga» (1909), film che anticipa l’espressionismo tedesco. Poi entrerà nell’immaginario dei cultori dell’horror letterario per aver scritto un racconto gioiello come «Il Ragno».
A sdoganarlo alle censure dell’industria culturale italiana di inizio Novecento sono ora le edizioni La Conchiglia che pubblicano una raccolta di cinque racconti, appunto I cuori dei re e altri racconti, tre dei quali scritti a Capri tra il 1903 e il 1913, che verranno presentati stasera a Roma (alle 22, alla libreria Arion di via Veneto) dalla curatrice Patrizia Antignani, da Achille Pisanti, autore nel volume di una bella introduzione che apre al pensiero mediale di Ewers, da Alberto Abruzzese e Roberto Pace. Con Ewers gli occhi sono protagonisti, si immergono nel rosso intenso degli interni borghesi che stanno tra Edgar Allan Poe e Ernst Theodor Amadeus Hoffmann, tra il romanzo horror e lo schermo cinematografico, tra la serialità a puntate fine Ottocento e la fantasia della scena espressionista. Ewers fonde perversità e inquietudini dei generi letterari con osceno iscritto nell’immagine cinematografica, muove l’occhio che desidera tra fantasia metropolitane e proiezioni nello specchio seriale dell’immaginazione, compiace, esaltando e turbando, il consumatore di massa.
A Capri sbarcherà per la prima volta nel 1898, e sarà l’occasione per conoscere Oscar Wilde. Più lungamente ci soggiornerà tra il 1902 e il 1904, scriverà dell’isola sui giornali tedeschi, come sempre in maniera contraddittoria, non mancando di definirla isola dei degenerati. E i racconti pubblicati dalla Conchiglia sono imbevuti di penombra caprese e napoletana, a Tragara ad esempio si consuma proprio l’incontro con un Oscar Wilde ormai debilitato dall’esperienza giudiziaria e carceraria. Nel racconto «Il ghigno» Ewers tesse una sorta di ossessiva dichiarazione etico-estetica sul decadentismo. «La fine di John Hamilton Llewellyn» è un delirante noir archeologico che celebra l’amore come forza autodistruttiva. La parabola «La mummia» ci immerge in un clima thrilling, ancora con riferimenti archeologici, un giovane squattrinato viene coinvolto nella misteriosa sparizione della sua donna. Entrambi i racconti vengono scritti a Capri, l’isola non può che funzionare come circolazione visionaria di intuizioni pulsionali oltre che artistiche. Con «La fanciulla bianca» siamo a Napoli, in una sala di palazzo Corigliano a San Domenico Maggiore, Pisanti richiama de Sade per introdurre questo racconto. La bellezza femminile, la carne nivea e nuda immersa nel rosso sangue dì un sacrificio per un pubblico borghese esterrefatto. Siamo all’immagine pulsante del bacio di Edvard Munch, sullo sfondo una «Napoli crudelmente bella» scrive Ewers «tuffata anch’essa nelle vampe del tramonto».

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