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12 July 2003

Le radici dell’odio – IL MATTINO

di Titti Marrone

La legittimazione di Israele
Dice che Napoli lo affascina «soprattutto peril suo lato oscuro, così presente nella sua storia lontana e nella stessa vita quotidiana. Dice che volentieri andrebbe in giro per i suoi vicoli, magari in compagnia di Erri De Luca, «di cui apprezzo i romanzi». Ma Abraham Yehoshua è solo di passaggio: a Capodichino, dove arriva con la moglie Ika nell’assolato pomeriggio, lo accoglie il filosofo Giuseppe Lissa con la figlia Anna, fine studiosa di ebraico, per condurlo a Molo Beverello. Il maggior scrittore israeliano tornerà a fine settembre per ricevere il premio Napoli 2003 nella sezione di narrativa straniera, però adesso la metà è Capri. La corsa in taxi verso l’imbarco degli aliscafi lascia giusto il tempo per il rito dell’intervista, cui lo scrittore si sottopone con gran gentilezza.
Perilteologo efilosofo ebreo Martin Buber, il senso dell’esistenza umana è nella capacità di dialogo con gli altri. Alla fine del 900 questa capacità è apparsa tragicamente smarrita tra israeliani e palestinesi, e gli strumenti della ragione appaiono insufficienti a spiegarne il motivo. Un grande scrittore come lei può indicare la radice dell’odio tra i due popoli?
«Quella che si è creata tra israeliani e palestinesi è una situazione assolutamente unica, mai verificatasi prima nella storia dell’umanità. Prima della nascita dello Stato di Israele non era mai avvenuto che un popolo tornasse alla sua terra da tutto il mondo dopo duemila anni. E stata un’esperienza assolutamente speciale non solo per gli ebrei ma anche per i palestinesi. Ora, io ho incontrato un gruppo di intellettuali arabi sei giorni fa, desiderosi di confrontarsi con me. Mi hanno chiesto: di che cosa gli ebrei hanno più paura? Io ho risposto che il maggior timore, nel corso di tutta la loro storia, è sempre stato quello di non essere legittimati. C’è questo alla radice del rapporto conflittuale con il mondo arabo e in modo particolare con i palestinesi. Quello di cui gli israeliani hanno bisogno è un riconoscimento finale. E i palestinesi, d’altra parte, riconoscono che Israele esiste, ma non ne ammettono la legittimità come Stato. Dunque, a mio avviso la radice del conflitto è questa, non è legata alla religione. Il problema, insomma, non è l’odio ma la legittimazione. I palestinesi sono pronti a vivere con gli israeliani, ma non a dare loro una legittimazione.
Del resto, in Israele non è in atto una forma di guerra di sterminio bensì una sorta di litigio, di conflitto tra vicini. Niente di paragonabile, insomma, alla guerra nei Balcani, dove le vittime sono state quasi trecentomila, mentre in quest’ultima Intifada sono morti intorno a duemilacinquecento palestinesi». Lei ha di recente proposto un referendum in Israele per formare due Stati, per un «tracciato non di pace ma di separazione» tra i due popoli. Quanto quest’idea può essere condivisa nel suo Paese?
«Penso che se Sharon vuole una legittimazione per i suoi tentativi di pace, deve proporre prima nel suo Paese un referendum sulla divisione del territorio tra israeliani e palestinesi. Se vinceranno i sì, e se il negoziato di pace procederà con l’individuazione di confini definitivi, dovrà poi sottoporre quest’accordo a un secondo referendum come fece De Gaulle in Algeria, che gli dia legittimazione per evacuare gli insediamenti e ricevere una piena approvazione del popolo. Non so dire quanto quest’idea abbia seguito nel mio Paese e non so neanche se Sharon tenga conto o no dei miei consigli».
In un’intervista al «Corriere della Sera» di ieri Ariel Sharon sostiene di voler aiutare Abu Mazen per isolare Arafat. E la via giusta per la pace? «È un problema interno ai palestinesi, e gli israeliani non possono neanche pensare di interferire nei loro affari. Tra Arafat e Abu Mazen ci sono rapporti molto complicali. E Arafat è una persona incredibile perché è come un gatto, ha sette vite. Poi Abu Mazen è una scelta di Arafat, è stato voluto da lui, non certo dagli israeliani. Allora, se tra Arafat e Abu Mazen va bene così, anche per gli israeliani è meglio parlare con qualcuno più realista».
Prima delle elezioni del 28 gennaio in Israele lei disse che la vittoria di Sharon sarebbe stata tragica per la pace in Medio Oriente. La pensa ancora così?
«Io non sto nella mente di Sharon, non so quanto del territorio voglia veramente cedere. Non penso, in realtà, che sia disposto a dare indietro il 60%: secondo me ha in mente al più ii 50%. Però credo che la pace dipenda esclusivamente dagli americani, non da Sharon né da Arafat o Abu Mazen. II problema è quanta ostinazione e determinazione gli Stati Uniti metteranno realmente nel processo di pace. Se le due parti verranno lasciate da sole, sarà un accapigliarsi senza fine».
Nella rivista «Civiltà del mediterraneo», in una bella conversazione con Anna Lissa, lei parla della generosità degli Usa durante e dopo la seconda guerra mondiale. Le sembra che sia stato un atto generoso l’attacco all’Iraq?
«Non sosterrei mai nulla del genere. Ma se oggi gli Usa procederanno con determinazione nel processo di pace, finiranno per conquistare la piena simpatia anche delle popolazioni arabe. E questo finirebbe per dare una sorta di senso alla stessa guerra che c’è stata in Iraq. Bisogna guardare con realismo a Saddam Hussein, a quel che è stato il suo regime e al fatto che la sua terribile dittatura è in definitiva crollata in tre settimane. In effetti, oggi gli Osa sono fisicamente presenti nel mondo arabo, non si limitano a guardarlo dall’esterno. Se s’impegneranno anche con aiuti finanziari per far proseguire le trattative di pace, potranno dare una mano più concreta alla stessa nascita di uno Stato liberale in Iraq»».
Ne «La sposa liberata» il personaggio di Rivlin finisce per accettare il pensiero di Tedeschi: «Non abbiamo alcuna speranza di capire gli arabi in modo razionale. Quindi non c’è altra scelta che tentare di approfondire la loro poesia». Ma a che serve la poesia di fronte alla disperazione di un kamikaze che fa del proprio corpo una bomba e distrugge, con la propria, altre vite innocenti?
lo penso che gli arabi, vivendo per lo più in regimi totalitari o semitotalitari, non siano liberi di esprimersi. Ma spesso ciò che si portano dentro, il loro inconscio, viene fuori nelle loro opere letterarie. Dunque se noi israeliani, se l’Occidente intero si apre all’idea del dialogo con loro, penetrarne il mondo significa cominciare dalla poesia, la letteratura, la filosofia. E questo ci fa tornare all’idea iniziale di dialogo secondo Martin Buber, Che dovrebbe essere il vero concetto ispiratore di ogni progetto di pace».
Il protagonista di uno dei suoi più bei romanzi, «Il signor Mani», cerca di spiegare agli arabi che anche loro sono ebrei. E un paradosso non solo letterario. Ma può esserci un ruolo, uno spazio comune della letteratura tra scrittori ebrei e palestinesi, nel processo di pace?
«Glie l’ho detto, solo sei giorni fa ho preso parte a un colloquio molto intenso con alcuni intellettuali in un villaggio arabo. Per quello che mi riguarda, sono alla ricerca di un rapporto ravvicinato anche con gli intellettuali palestinesi. Bisogna rafforzare questa forma di confronto tra intellettuali, e anche il nostro ministro della difesa ci sta lavorando. Del resto, i geni dei palestinesi e quelli degli israeliani sono molto simili. Badi bene, questa è una realtà, non è una fantasia dei signor Mani».

«Civiltà del Mediterraneo» A Capri stasera incontro su «Il Muro e il Monte»
Stasera Yehoshua sarà a Capri per parlare de «Il Muro e il Monte», saggio inedito in Italia, che sarà pubblicato a settembre dalla rivista «Civiltà del Mediterraneo», diretta da Arturo Fratta, Eugenio Mazzarella e Louis Godart, ed edita da «La Conchiglia». Alle 18 all’hotel Quisisana, all’incontropresentazione della rivista prenderanno parte Franco Cardini, Fulvio Tessitore, e Antonio Bassolino. «Civiltà del Mediterraneo» è l’organo dell’omonimo Consorzio di ricerca composto da nove Università italiane, fra cui quella di Napoli «Federico IN che le coordina, e presieduto da Tessitore. Il prossimo appuntamento organizzato da «La Conchiglia« e da Mazzarella è per venerdì prossimo con Massimo Cacciari, che terrà una lectura Dantis da Paolo e Francesca alle 19 sulle terrazze del «Cesare Augusto».

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