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17 Agosto 2017

Anacapri, un fascino assorbente – HUFFINGTON POST ITALIA

di Gabriele Della Morte

Riccardo Esposito illustra alcune direzioni auspicabili e qualche strada senza uscita

 

“Facevamo lunghe passeggiate per Anacapri […]. Questa Capri recondita, dove si entra soltanto dopo un lungo pellegrinaggio e quando ormai l’etichetta di turista ti si è staccata di dosso, questa Capri popolare di rocce di vigne minuscole, di gente modesta, lavoratrice, essenziale, ha un fascino assorbente”.

Così scriveva, nel 1952, Pablo Neruda, riferendosi ad Anacapri, il piccolo “di montagna” dell’isola di Capri (Ana, in greco, significa “sopra”). A questo territorio Riccardo Esposito ha dedicato un libro: Anacapri, vicende storiche, immagini, percorsi e brani letterari: uno zibaldone di testimonianze sorprendenti, di immagini bellissime, oltre che una lente attraverso la quale osservare la politica italiana degli ultimi decenni.

Partendo dalla questione dell’autonomia del “Comune di sopra”, la prima richiesta in tal senso è del 1334 e la prima concessione è del 1496. Nel corso dei secoli immediatamente successivi, a causa anche delle continue incursioni dei pirati, Anacapri struttura un sistema di torri difensive e gestisce le proprie risorse, principalmente allevando il numeroso bestiame, praticando la pesca e il commercio e lì dove è possibile – data la scarsità d’acqua – la coltivazione.

La visione di questa “terra”, che non veniva chiamata “città” perché “non è circondata di mura e le case sono costruite qua e là senza che vi sia forma o ordine di strade” (così J. J. Bouchard nel 1632), rappresentava, per i non troppi numerosi viaggiatori che riuscivano nell’impresa di salire la lunga scala cd. “fenicia” – in realtà di epoca greco-romana, intorno al V secolo A. C. – un’autentica sorpresa: “scoprire una zona pianeggiante così graziosa totalmente nascosta da un grande montagna, di cui non si ha alcuna percezione quando si sta nella parte bassa dell’Isola, che di scoprirla, dico io, a livello del sommo di una scala di cinquecento-quaranta gradini” (così il Marchese D. A. De Sade nel 1776). Le coltivazioni, l’aria salubre, il buon vino, ogni cosa è celebrata nelle testimonianze dell’epoca. Persino – se non soprattutto – la grazia delle donne. E.L.V. de Laveleye, nel 1878, scrive che le figure femminili sono così belle che “sembrano tratte da un vaso antico”.

Infatti, prima del 1877, data di costruzione della strada carrabile propiziata dalle leggi dell’Italia unitaria, i due Comuni (Capri giù, e Anacapri su) erano collegati solo dalla ripida scalinata incisa nella roccia e terminante con una Porta, chiamata – nomen omen– “Porta della differenza”.

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CHARLES G.A. BOURGEOIS
Escalier d’Anna Capri (litografia, 1825, riprodotta nel Volume)

La “differenza” stava innanzitutto nella diversa indole degli abitanti dei due paesi:

“Quelli del villaggio di Capri […] perché trattano continuamente con forestieri, hanno assai apparato le astuzie e gli scaltri menti delle persone di mare e de’ mercanti […] gli abitanti di Ana-capri, per contrario [hanno] costumi più dolci e maniere più piacevoli e ingenue”

(R. Mangoni, 1834).

Peraltro, una simile “differenza” rappresentava sovente occasione di discordia. Le cronache, al riguardo, sono sorprendenti: i capresi profittavano dell’assenza dei marinai di sopra per insediare le donne di sopra o dedicarsi al saccheggio, e gli anacapresi, a loro volta, si dilettavano in “pietrate”, autentiche sassaiole, da un’altezza, peraltro, di diverse decine di metri.

Addirittura, nel 1808, nel corso di un appassionante conflitto internazionale, i due Comuni si fronteggiarono attraverso due eserciti nemici: i francesi che avevano occupato Anacapri con uno sbarco a sorpresa (scalando un dirupo per affrontare il quale erano state requisite le scale per lo spegnimento delle candele del Regno di Napoli); e gli inglesi i quali, dopo aver perso il possesso delle alture, si erano asserragliati in una strenue difesa nella città fortificata di Capri (ebbero la meglio i primi, e la ‘presa di Capri’ è celebrata tra le vittorie napoleoniche sull’Arc de Triomphe a Parigi).

Persino i Santi hanno risentito di questa concorrenza: se Capri adottava, intorno all’anno mille, il culto di San Costanzo… Anacapri, a partire dal XVIII quello di Sant’Antonio (patrono, tra l’altro, dei marinai e dei pescatori, a simbolizzare una vocazione proiettata verso l’esterno).

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MARTINET
L’assalto del 1808 delle truppe francesi nella zona di Orrico (acquaforte, fine Ottocento, riprodotta nel Volume)

Inoltre, perché lo sguardo sul passato illumina sempre alcuni angoli del presente, è curioso osservare come il rigore con il quale Anacapri gestisce oggi lo smaltimento dei rifiuti sembra avere origini remote. Infatti, già in alcune capitolazioni del 1668 si prevedeva che fosse punito chi depositava in luoghi pubblici i resti di pulizie dei fondi privati, chi bruciava elementi diversi da quelli domestici nel corso dell’estate e chi non potava le siepi di confine recando danno al transito del bestiame. Le regole erano severe e scrupolose, e si estendevano sino a condannare chi faceva accoppiare tori e vacche in luoghi pubblici… perché simili scene avrebbero turbato l’educazione dei più giovani.

Nel XIX secolo, grazie anche alla cosiddetta “scoperta della grotta azzurra” del 1826 (che seppure in territorio anacaprese era sfruttata commercialmente dai pescatori capresi), il Comune di Capri registrava un incremento delle occasioni di arricchimento. Tuttavia, tale crescita economica riguardava solo tangenzialmente Anacapri, che infatti ancora nel 1865, dodici anni prima della realizzazione della strada carrabile, contava un solo esercizio alberghiero, a fronte dei sette operanti nel Comune di sotto.

Come accennato le condizioni cambiano con la costruzione della strada di collegamento, del 1877. Da allora, è un continuo crescendo, sino alla creazione di autentici cenacoli avanguardisti, quando, a partire, dagli anni venti, Anacapri divenne un rifugio per intellettuali: Alberto Moravia, Elsa Morante, Mario Soldati e Graham Green vi scrissero lavori eccellenti, Fortunato Depero vi fece sperimentazione pittoriche, Ada Negri vi compose alcuni dei suoi Canti dell’Isola, e poi Leo Longanesi, Norman Douglas, Edwin Cerio, F. Scott Fitzgerald e, sopra tutti, Axel Munthe, la cui celebre Storia di San Michele, pubblicata nel 1929 divenne uno dei volumi più venduti, e tradotti, del globo.

Nondimeno, quando dopo la fine della seconda guerra mondiale, furono indette le prime elezioni politiche, l’anima moderata di questo Comune registrò un autentico plebiscito: 84,3% dei voti alla Democrazia Cristiana contro meno dell’1% alle liste di sinistra. Tale condizione politica, che da questo momento può essere presa come spunto per una riflessione più ampia, produsse un duplice risultato: da un lato, governi locali stabili; dall’altro, assenza di opposizione e dunque margini ridotti di confronto.

Ne è un esempio la questione del Piano regolatore: quando la legge lo impose al sindaco, che lo adottò obtorto collo nel 1967, furono in più di cinquecento a protestare, sottoscrivendo una lettera con la quale si interpretava il suddetto Piano come una “camicia di forza” che imbrigliava “un paese giovane ed esuberante” impedendone la crescita.

Così, tra il 1961 e il 1991, Anacapri, un paese da sempre chiamato “terra” per la vocazione agricola e contadina, cede alla febbre del mattone che tanto segnò l’Italia di quegli anni e, complice alcune ambiguità della legislazione urbanistica, quintuplica i vani disponibili.

Sul piano sempre inclinato della memoria personale, per me questo ha significato la conversione delle ultime case contadine con le stalle per il bestiame, la fine dello srotolamento delle reti per la raccolta delle olive, la trasformazione delle ultime trattorie “alla buona”.

Oggi quello che sopravvive di quel mondo è prezioso e va tutelato con la più grande attenzione: una certa cortesia negli incontri, le bancarelle dei bambini nei pomeriggi estivi, le uova appena raccolte offerte in dono dai vicini.

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GIOVAN BATTISTA CEAS
Cortile e scala di una casa di Anacapri (anni Venti, riprodotta nel Volume)

Così, tra le pieghe di queste tracce, ad Anacapri ancora ci si può sorprendere: dell’aria “ventilata, piacevole ed elastica, che si crede la più pura a respirarsi” (G. Feola, 1894); della dolcezza delle colline cui Debussy ha dedicato un preludio (qui in un’esecuzione storica di Arturo Benedetti Michelangeli); delle piazze in cui tutte le “case guardano ad occidente per una comune nostalgia del mare” (A. Savino, 1926); della “mescolanza di tutte le possibili varietà del verde sino al mare” (Leopoldo Gemelli, 1985).

Elsa Morante, in una lettera del 29 agosto del 1938 scrive: “Quest’aria sa essere così discreta, gentile e umile […] ci sono momenti in cui pare che il paese trattenga il fiato per non turbare la quiete”.

GABRIELE DELLA MORTE
Anacapri, 2017.

Occorre impegnarsi per preservare tutto questo. Oggi che il comune di sotto (Capri), come altri luoghi-simbolo del nostro Bel Paese, Venezia in primis, somiglia sempre più a un parco giochi per un turismo di lusso e di corta permanenza, il Comune di Anacapri, questa “Cenerentola destinata ai servizi di cucina […] in modo da non pregiudicare la bellezza sgargiante e trionfante della sorella maggiore” (A. Maiuri, 1953) è a un bivio: a breve accorperà tutte le scuole dell’Isola nel proprio territorio, candidandosi così a divenire, per popolazione e peso, il vero Comune degli isolani.

Lo sforzo per conservare questa preziosa identità, in un Paese che conta 7003 residenti, 18 alberghi e 53 tra B&B e case vacanze (dati del 2016), deve essere collettivo e diffuso lungo tutto l’anno. Alcune politiche che hanno permesso la creazione di spazi aggregativi, oltre a una promettente giovane generazione che si interessa alla cosa pubblica, lasciano ben sperare, ma la soglia di attenzione deve restare alta.

Così, mentre è in discussione il progetto di una funicolare che dal porto possa giungere direttamente ad Anacapri, mentre l’ennesimo pezzetto di costa mediterranea – proprio sopra le rovine di una domus di epoca romana – viene adibito a relais di lusso, il volume di Riccardo Esposito illustra alcune direzioni auspicabili e qualche strada senza uscita.

Una mappa e una bussola: gli strumenti della politica non sono diversi da quelli della navigazione.

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