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2 Febbraio 2019

Callas-Tebaldi, la sfida diventa un amarcord – IL MATTINO

di Titta Fiore

L’angelo e il Diavolo. La purezza della classicità e l’energia rivoluzionaria del nuovo. La Signorina e la Divina. Renata Tebaldi e Maria Callas, non solo straordinarie primedonne del belcanto. Come Coppi e Bartali nello sport, i due soprani divisero, in campo musicale, l’Italia che faticosamente usciva dalla seconda guerra mondiale con il desiderio di recuperare credibilità e peso anche oltre confine. Quali migliori ambasciatori dell’arte, della cultura, allora come in ogni tempo? E così fu. La Maria e la Renata, così le chiamavano, si spartirono il cuore e l’entusiasmo del pubblico. Complici le politiche teatrali dei due Lirici più importanti del Paese, la Scala e il San Carlo, si accomodarono da regine una a Milano, l’altra a Napoli, adorate da schiere di fan. Il resto lo fecero la lungimiranza di due sovreintendenti, Ghiringhelli e Di Costanzo, che seppero alimentare in modo creativo il dualismo delle loro star, e una serie di fortunati circostanze.

Le racconta con la grazia di una scrittura briosa e la potenza di una memoria di ferro, Francesco Canessa nel libro C’eravamo tanto odiate (La Conchiglia), che annovera tra i suoi ammiratori Riccardo Muti, mettendo insieme dati storici e ricordi personali, testimonianze dirette e ricostruzioni bibliografiche documentatissime nel ritratto prezioso di un’epoca e di un Paese che aveva fretta di ripartire. In quell’urgenza, in quell’energia incontenibile che diede vita al «miracolo italiano», anche la musica ebbe il suo ruolo. Cominciò il San Carlo al gran completo, riaprendo a Londra la Royal Opera House Covent Garden. Poi in Inghilterra arrivò la Scala, con pari successo, mentre il teatro fondato da Carlo III celebrava a Parigi l’anniversario verdiano con un Requiem dominato dalla Tebaldi.

Spedito a Milano per completaregli studi, appassionato melomane e giornalista, il giovane Canessa (che poi diventerà soprintendente del Massimo napoletano) si trovò a vivere nel cuore di un fermento culturale senza precedenti, tra De Sabata, Karajan, Bernstein e il coinvolgimento di nuovi agguerriti registi quali Visconti e Strehler, frequentò con la moglie Italia il salotto del professor Cutolo e fu lì che su invito del pittoresco Di Costanzo si diede da fare per portare a Napoli la Tebaldi, reduce da un mezzo fiasco nel tempio scaligero in «Traviata». Al San Carlo la Signorina ebbe un successo memorabile e su quel palcoscenico regnò incontrastata per le 154 recite in 24 ruoli diversi.

Dopo primi tempi burrascosi Maria Callas, sposta con l’imprenditore Meneghini, aveva consolidato la propria posizione alla Scala (vi si imporrà con 181 presenze in 23 opere). La rivalità tra le due toccò il culmine con la doppia inaugurazione scaligera del 1953: alla Tebaldi sarebbe toccata la prima di Sant’Ambrogio con «La Wally», la Callas avrebbe debuttato tre gironi dopo con «Medea». Il successo fu «importante ma non trionfale» per la prima. L’altra stupì e conquistò il pubblico con una performance strepitosa, ma soprattutto, racconta Canessa, esibendo una silhouette da indossatrice, lei che aveva sfiorato i cento chili. A lungo si favoleggiò di una dieta miracolosa, di una tenia ingurgitata con una coppa di champagne, ma tant’è: della Callas ormai si occupavano con pari intensità i critici musicali e i giornali di gossip, la sua separazione da Meneghini e l’infelice amore con Onassis fecero il giro del mondo.

Diverse in tutto, per la vocalità, temperamento e storie, La Renata e la Maria hanno in realtà «creato un doppio modello per la riproposta moderna dell’opera lirica e offerto in un momento buio della vita nazionale un aiuto determinante nel recupero dei valori del nostro patrimonio artistico», ed è quel che più conta. Canessa, testimone attento e competente del loro straordinario percorso, ne è convinto e con lui concordava il tenore Pippo Di Stefano, partner di entrambe in tante occasioni. La Tebaldi si ritirò dalle scene nel 1976 dopo un concerto benefico alla Scala per i terremotati del Friuli. Nello scrittore, accanto al vivido ricordo dell’amicizia con la Signorina, resta il rimpianto si un incontro mancato con la Divina, troppo vinta dalla vita per riceverlo nell’elegante casa di Parigi. Erano i primi di settembre del 1977, il 26 dello stesso mese Maria Callas morì di solitudine e di disperazione. Non aveva ancora 54 anni.

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