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11 Luglio 2003

Il Muro e il Monte: i dubbi di Israele – CORRIERE DELLA SERA

di Abraham B. Yehoshua

Un inedito dello scrittore Abraham Yehoshua dedicato a due realtà emblematiche della storia ebraica: il Muro del Pianto e la collina dov’è sepolto il padre della patria Theodor Herzl.

Le cerimonie in occasione del giorno della Commemorazione dei caduti e di quello dell’Indipendenza hanno nuovamente messo a nudo, in modo chiaro, la distanza abissale tra i due luoghi ufficiali di celebrazione che tuttora disorientano lo Stato di Israele: il Muro del Pianto e il Monte Herzl. Le serie di simboli celati dietro ogni luogo indicano due opzioni pressoché contrastanti per il futuro.
Il giorno della Commemorazione dei caduti nelle guerre di Israele inizia con una cerimonia che si svolge vicino al Muro del Pianto. Cos’è questo muro? Si tratta di un bastione di pietre, poderoso e alquanto alto, dietro e al di sopra del quale si erge lo struttura composita della moschea di al-Aqsa e la Cupola della Roccia, dalle sommità d’oro e d’argento. Per quanto dopo la Guerra dei sei giorni siano state abbattute alcune case nei pressi del muro per allargare il piccolo vicolo facendone una specie di grande spiazzo, tuttavia questo spiazzo è provvisorio, fondamentalmente funzionale, ma non organicamente inserito nel complesso della struttura architettonica. Nonostante la grandezza, esso è alquanto stipato tra le case dei suoi vicini arabi, alcune Yeshivot e le case restaurate del quartiere ebraico, che rendono impossibile un ulteriore allargamento in futuro. Il vicino quartiere di case abitate, negozi, bancarelle lo rendono decisamente profano.
Il Muro stesso, come è noto, è ciò che resta del bastione esterno che circondava il Tempio, una parte di qualcosa che è andato distrutto. Se il Tempio fosse Dio guardi! ricostruito in tutta la sua grandezza originaria, nella struttura complessiva questo muro si presenterebbe come un particolare secondario e marginale in tutto il complesso. (…)
Il Muro, inoltre, non reca sudi sé alcun resto del culto religioso o spirituale che si svolgeva nel Tempio. Tutta la sua essenza è riposta nella sua impenetrabilità (chiusura blocco arresto). Se fosse stato una colonna, oppure una porta, o perfino una parete distinta che avesse reso possibile un qualunque movimento intorno, un qualsiasi sguardo prospettico mutevole, nella sua essenza ci sarebbe stato qualcosa di più dinamico e di più libero. (…)
Quando si lascia il Muro per salire alla moschea di al-Aqsa, subito lo si dimentica, come se fosse un particolare secondario e accidentale. Non c’è alcuna interazione tra esso e la moschea, neanche una tragica interazione. Questo è un segno di disinteressamento reciproco. Il muro richiede la creazione di uno spazio chiuso, uno spazio chiaramente ebraico, ma questo può realizzarsi soltanto a condizione di far sparire tutto ciò che lo circonda. Quando si entra nel complesso della moschea di al-Aqsa e della Cupola della Roccia, si accede a una struttura architettonica e a una civiltà nuova. (…)
Gli ebrei sono dunque costretti a starsene di fronte a un muro chiuso. Sono bloccati. Quello starsene lì è assurdo e, in qualche modo, anche umiliante. Associazione: anche i condannati a morte stanno in piedi con la schiena o la faccia al muro (dipende dalla misericordia di chi spara). Il muro, nella sua essenza, è un simbolo umiliante, assurdo e senza speranza, parziale (e in questo senso è molto ebraico), un simbolo innanzitutto religioso, in quanto è collegato al culto scomparso del Tempio, dominato in posizione di chiara superiorità da una bella e grande moschea, una moschea attiva, che rappresenta, quasi in contrapposizione al muro religioso, una cultura e una civiltà di altri popoli.
Il Muro, in quanto simbolo, educa e richiama a un’identificazione irradiando assurdità e frustrazione. Esso evidenzia che il ritorno non è un ritorno, che il cambiamento, capitato nella storia ebraica, con la costituzione dello Stato di Israele, è un cambiamento decisamente parziale. Il muro trasmette un’inferiorità essenziale nei confronti della terra. Obbliga a suscitare sogni di un cambiamento radicale e a destare speranze di distrazione della moschea che lo sovrasta per completare la costruzione del Tempio. Mette in evidenza, in modo lancinante, la problematicità di un popolo che ha sviluppato una storia continua così lunga al cui interno tuttavia, si spalanca il terribile vuoto della Diaspora, a causa della quale abbiamo pagato un prezzo terribile, abbiamo perso una parte della nostra terra.
Ma supponiamo pure, in una visione angosciante, che si sfruttasse un qualsiasi momento politico favorevole per distruggere la moschea, che cosa si potrebbe costruire al suo posto? Non sarebbe neanche possibile, nella maniera più assoluta. lasciare quello spazio vuoto. Il pensiero si turba all’idea che bisognerebbe costruire un tempio in cui si offrano vittime in sacrificio, una specie di macello al quale vengano portati agnelli e montoni, da scannare, e dove bruciare e si spruzzi il sangue intorno, in modo che i turisti osservino il sacrificio e percepiscano la «luce delle nazioni» che gli ebrei irradiano.
Il grande sacerdote? (Come lo si sceglierebbe? Una specie di Ray Shakh oppure un Baba Saaly che si immischi anche di politica quotidiana?).
Il Sancta Sanctorum (con le interviste sui piccoli quotidiani di Gerusalemme dopo YomKippur in cui gli arabi di Silwan descrivono la pulizia del Sancta Sanctorum in seguito allo cerimonia). Il pensiero deprimente è che anche dopo la ricostruzione del Tempio e la restituzione del culto non cambierebbero molte cose: il cancro continuerebbe ad uccidere, corruzione, guerre e terrore, insuccessi negli studi e così via. Che cosa ne sarebbe dunque del «tempo della nostra redenzione» o dello «venuta del nostro messia». anche questo ci sarà tolto?
Quanto più profondamente ci si sofferma sul Muro e su ciò che lo circonda, sui dilemmi che suscito, tanto più verrebbe voglia di disinteressarsene, perfino in quanto «fiero» patriota ebreo, Il Muro non offre una risposta, non da consolazione, al contrario suscita difficili quesiti. Non fa meraviglia che coloro che lo amano sinceramente, quelli che si recano a visitarlo giorno e notte, e che si agitano alle sue pietre con passione, siano haredim estremisti, Neturei Kurta e simili; esso si adatta così bene a loro e al loro giudaismo, alla loro mancanza di speranza, alla loro passività, al loro tipo di spiritualità.
In netto contrasto a ciò, la cerimonia d’apertura dei festeggiamenti sul Monte Herzl, in occasione del Giorno dell’Indipendenza, ci mostra ancora un luogo pieno di gloria, forza e chiari simboli che suscitano speranza, un luogo che funge da cornice per una posizione prestigiosa che può essere fonte di fierezza per tutta la nazione. Il luogo stesso si trovo sulla cima del monte, è vasto, alto, aperto a tutti i venti, domina ma non è dominato, è libero. Da esso si vede un vasto paesaggio in tutte le direzioni. (…) La tomba di Herzl, posta nel centro, mette in risalto una personalità dotata di forza unificante e amata. II cimitero militare che si trova ai piedi del monte sul versante nordorientale rende onore e memoria a coloro i quali sacrificarono le loro vite per l’indipendenza di tutti noi. Il museo Yadvashem, che si trova sul versante sudoccidentale, accentua il significato morale della costituzione dello Stato, sia nella coscienza interna al popolo, sia nella coscienza nostra nei confronti degli arabi e degli altri popoli. Questo museo equilibra nel migliore dei modi la storia ebraica dalla Diaspora al Risorgimento.
Il Monte Herzl è un luogo completo, un’unità autonoma che non offende né è minacciato da elementi estranei. Per molti anni ha svolto la funzione di luogo centrale per le cerimonie nazionali e, quando è stato eretta la Knesset sulla non lontana collina orientale, anch’essa ha preso la sua piccola parte nelle cerimonie. Soltanto dopo che la parte orientale di Gerusalemme è caduta nelle nostre mani, in seguito a una guerra non programmata da noi, la cui parte principale si è svolta nel Sinai, sotto la minaccia egiziana, dopo che abbiamo insistito con Hussein affinché cessassero i bombardamenti sullo porte occidentale di Gerusalemme, il Muro è stato aggregato, in quanto simbolo significativo, nella nostra vita nazionale e, negli ultimi anni, minaccia continuamente di appropriarsi della priorità del Monte Herzl e di dare un altro significato simbolico alla nostra vita nazionale e ai nostri valori fondamentali.
Qualsiasi accordo di pace tra noi, i palestinesi e i giordani, non potrà certamente determinare un ritorno alle condizioni precedenti. Gerusalemme sarà unificata, come tutta la terra di Israele, sotto due sovranità e il loro interagire sarà come quello che oggi si svolge tra il Belgio e l’Olanda. Non ci sarà un confine fisico, ma soltanto una chiara coscienza delle due identità custodite con netto rigore. L’atteggiamento nei confronti del Muro sarà, com’è chiaro, libero e aperto, le cerimonie che si svolgono là continueranno ad aver luogo, ma, dal momento che il Muro è una parte della Gerusalemme antica, il cui sito onorato s’intreccia con altri luoghi sacri, esso ritornerà alla sua essenza religiosa, come il Santo Sepolcro, o la moschea che lo sovrasta e la frustrante tensione nazionale, che adesso promana, sarà alleviata, (…) Spesso si sente nel dibattito tra persone dalle idee decisamente moderate questo discorso netto: «Ma alla parte orientale di Gerusalemme non si può assolutamente rinunciare». Io qui tento di obiettare che, quando vedo le innumerevoli mine che vanno od accumularsi sotto le strade di questa città, è necessario che proprio a causa di Gerusalemme si debba procedere con rapidità per giungere a dare una sistemazione ai territori occupati.
(Trad. dall’ebraico di Atena Lissa)

APPUNTAMENTO
Il dibattito con l’autore domani a Capri
Il testo di Yehoshua «II muro e il monte» (inedito in Italia) che compare in questa pagina sarà pubblicato dalla rivista «Civiltà del Mediterreneo» edita da La Conchiglia e diretta da Arturo Fratta, Eugenio Mazzarella e Louis Godart. «Civiltà del Mediterraneo» è l’organo dell’omonimo Consorzio interuniversitario di ricerca, presieduto dal professor Fulvio Tessitore, di cui fanno parte nove atenei italiani, coordinati dall’Università di Napoli Federico II. In occasione della presentazione della rivista, Yehoshua parteciperà ad un dibattito che si terrà domani (ore 18) all’Hotel Quisisana di Capri. All’incontro prenderanno parte i professori Franco Cardini, Fulvio Tessitore e Antonio Bassolino, governatore della Campania.

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