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2 Luglio 2004

Se lo storico si fa poeta per amore – IL MATTINO

di Roberto Ciuni

Leggendo Giuseppe Galasso torna il piacere che danno i maestri di storia, quei narratori della vita dei popoli capaci di comunicare il gusto della letteratura insieme alla ricostruzione degli eventi.
Tanto la sua penna corre fluida tra specie umanistiche diverse, da ricordare la grande stagione dell’elzeviro di terza pagina che ha avuto autori d’alto livello, ognuno scienziato nel proprio campo, come Amedeo Maturi, Federico Zeri, Mario Praz, per citarne soltanto qualcuno. Tanto ha appreso la lezione di Croce (con uno stile di scrittura più moderno e un sottofondo lirico che a quest’ultimo mancava, se non è parlar male di Garibaldi), da pensarlo affettuosamente “don” Peppino alla maniera di “don” Benedetto…
Il suo ultimo Capri, insula e dintorni (La Conchiglia, pagg. 216, euro 16), composto in parte di brani già conosciuti e in parte di nuovi o rinnovati, ha una chiave creativa racchiusa in una frase di ricordo giovanile che si legge nella prefazione: “Tra Capri e Tirreno c’era per me un’identificazione assoluta”. E se oggi non ci torna volentieri, dice, non è perché gli sia passato l’amore; anzi, al contrario, perché non sopporta di vedere la Capri del sogno ridotta a mo’ di una Via dei Mille. Bella, oggi, a distanza. Alla pari di un Tocqueville cui dava l’impressione del nido inavvicinabile d’un uccello rapace oppure di André Gide che preferiva ammirarla dal limoneti della costa di Sorrento.
La chiave del libro, dicevo, è essenzialmente letteraria. Con un’aggiunta poetica personale che risale al 1949, anno in cui Galasso fece vacanza a Capri: si tratta di Sirene, di Ulisse, d’ “isola delle capre”, un’ “Alba” in rima presentata con molto, tenerissimo, pudore (“Follie capresi…”) e con tante scuse per il momento d’abbandono in cui s’è convinto di pubblicarla. Ma il lettore ha almeno un verso, quello finale, per assolverlo. Nel verso, un amante di Capri si rivolge al sole del mattino e gli chiede “dell’isola già tua godere il miele”.
Insieme ai numerosi interventi a proposito di Capri c’è, nella raccolta, un articolo sul convegno della bellezza tenuto a Capri nel 1922, interessante dato che esprime il giudizio culturale dell’uomo politico Galasso, appunto, in tal funzione autore della legge di protezione dell’ambiente che porta il suo nome, il libro contiene uno “specifico” dello storico, un “vagabondaggio tra le carte anacapresi”. Partito dalla notte dei tempi in cui Anacapri era considerata un “casale della città di Capri” o una “Capri superiore” Galasso può datare dai documenti l’istituzione delle due università distinte e separate almeno al 1496 e, più precisamente, risalire ad una decisione del 1541 del viceré Pedro de Toledo in modo da illustrarci il governo spagnolo dell’isola modellato su due amministrazioni e un capitano. Da qui, tra beghe paesane, con gli anacapresi che si lamentano della “potentia” caprese (ovverosia delle prepotenze), con le regole date agli isolani a proposito di caccia, pesca, annona fondiaria, mutualità e permessi, a cominciare da quello, assai importante all’epoca di poter far “frasche secche e baccelli”, il cammino storico porta fino al regno di Napoli dei napoleonidi. Ed è con “Anacapri, nei suoi capitoli, privilegi e suppliche” che il medievista ritorna al suo mestiere dopo le piacevoli e belle divagazioni “crociane” nella letteratura.

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