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1 Marzo 2016

Isabella Ducrot nostalgia del “suonno” – LA REPUBBLICA

di Sossio Giametta

Isabella Ducrot, napoletana, 1931, fu nella sua città una famosa bellezza, di cui in tarda età porta ancora i segni. Poi si trasferì a Roma, dove vive e lavora. È una brava pittrice, una gran coltivatrice di rose e si occupa di arte applicata e di tessuti. Ha scritto vari libri, l’ultimo di narrativa è Fallaste corazon (Il Notes Magico). Con le Edizioni La Conchiglia di Capri ha pubblicato un aureo libretto con prefazione di Raffaele La Capria, intitolato Suonno. Il “sonno” e il “sogno” nella canzone napoletana (pagine 60, euro 7). Con un’analisi delle canzoni napoletane, Ducrot illumina una parte ben originale dell’anima napoletana, dedita appunto al sonno e al sogno, che in dialetto sono espressi dalla stessa parola. C’è un’altra popolazione che ha coltivato e coltiva ancor sempre, come quella napoletana quella napoletana, questi due beni preziosi, questi due miracolosi rimedi della vita, il sonno e il sogno? Che ne ha fatto e ne
fa tanto e così buon uso, contro le difficoltà, gli ostacoli, gli schiaffi e le delusioni?

Le delusioni che la vita incessantemente frappone alla nostra felicità? I guai dei napoletani li sanno solo i napoletani. Secondo La Capria, Isabella ha fatto due scoperte che – si sente in lui un po’ di dispetto nel confessarlo – non ha fatto lui stesso: la scoperta che «dormire accanto alle belle addormentate è come entrare soavemente in una specie di paradiso lontano da ogni terrestre tribolazione, un irresistibile richiamo cui i giovani amanti si abbandonano». E aggiunge: «Colpisce il fatto che qui non si allude mai
al sesso». Poi c’è l’altra scoperta, che i napoletani non parlano mai di amare, non dicono ti amo come dicono tutti, ma «ti voglio bene», che è più leggero, più spirituale, più veramente innamorato. «Quante volte», dice La Capria, «noi abbiamo cantato a mezza voce la canzone di questo dormire smemorato
senza farci caso. Isabella Ducrot in questo suo breve e denso scritto ce ne dà conto, ci offre una serie di citazioni che lo confermano e ci presenta una lista di titoli impressionante per il numero, dove ricorre il sentimento che si è detto. La sua è una vera e propria documentazione finora del tutto inedita».
Isabella comincia il suo discorso con un quadro di struggente nostalgia, che illustra il “luntane ‘a Napule non si po sta” della famosa canzone. Lei infatti si trasferì a Roma, dove ha avuto e ha una vita bella, attiva, piena di risultati e soddisfazioni. Dunque: «Potrei dirmi una persona felice», scrive, «se non fosse per una costante nostalgia che mi porta ad ascoltare e riascoltare le canzoni napoletane. Molto spesso nelle stanze della mia casa fin dalla mattina risuonano voci appassionate che supplicano e invocano: Non me lassà, Te voglio bbene!, Quant’è bella ‘a muntagna stanotte.
Allora il cuore mi si scioglie e prendono forza pensieri dimenticati e immagini lontane non tanto di persone care o di eventi speciali ma piuttosto delle forme paesaggistiche e architettoniche di Napoli che mi pare siano il fedele specchio degli umori e delle particolarità della gente che la abita». E prosegue parlando del «carattere fiabesco dei cortili e delle scalinate dei vecchi palazzi», le cui «proporzioni si perdono in altezze stravaganti che solo una fervida immaginazione può averle concepite, sostenute da una logica insofferente verso ogni economia utilitaristica, favorevole piutttosto a effetti scenografici». Anima appassionata veramente napoletana, dunque, quella di Isabella Ducrot, che analizza l’anima
napoletana naufragando beatamente nel mare delle canzoni più belle del mondo, con l’acume e la creatività della passione.

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