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18 Luglio 2003

Cacciari e l’amor «ch’a nullo amato amar perdona» – IL MATTINO

di Titti Marrone

«È l’esempio più alto della straordinaria capacità di Dante di esprimere i sentimenti con assoluta, geometrica precisione», dice Massimo Cacciari parlando del V Canto dell’Inferno, noto come «il Canto di Paolo e Francesca» e riduttivamente indicato come quello dei lussuriosi, dei peccatori carnali. Il filosofo lo leggerà stasera alle 19:30 sulla terrazza panoramica del Caesar Augustus nell’ambito delle attività culturali organizzate dalla libreria «La conchiglia» con Eugenio Mazzarella. E certo non sarà una qualsiasi «lectura Dantis» quella di Cacciari, che rovescia la tradizionale interpretazione della vera storia dei due amanti, variamente chiosata da numerosi cronisti del XIV secolo: «Qualsiasi lettura lirica e sentimentalistica di quel canto è patetismo. Lì si arriva all’apice, all’essenza dell’espressività sul colmo della passione. E io cercherò di dimostrare, con Valéry, che questa non consiste affatto nello stucchevole “metti il tuo cuore a nudo”. La poesia» continua il filosofo «è ispirazione, colpo che dà inizio al verso, ma poi richiede le doti del miglior fabbro, quello capace dibattere e ribattere sull’incudine affinché il verso diventi teso, si trasformi nella perfezione raggiunta da Dante».
Ma con quale spirito un filosofo come Cacciari aderisce alla concezione dantesca di amore? «Quale amore? La Divina Commedia può essere tutta letta come una fenomenologia amorosa», è la risposta, «da quella, appunto, di Paolo e Francesca, del loro amore inordinatus che inaugura l’Inferno, a quello ordinato di Bernardo al culmine del Paradiso. Forse l’amore in cui io mi riconosco di più è quello inordinatus. E anche Dante non è mai così vicino a perdersi come in Paolo e Francesca. Ma forse il vero amore, per lui, è quello che si sublima tra Beatrice e Bernardo».
E oggi? Perché, secondo Cacciari, manca un Dante capace di tradurre in grande commedia la contemporaneità? «Non mi sembra che manchi. I Cantos di Ezra Pound e i Quartetti di Eliot sono l’analogo della Divina Commedia nel Novecento, e anche in Luzi rivive quella medesima ispirazione. Ma uno degli aspetti più alti, mai ripetuti in seguito, del capolavoro dantesco è quello di fondere i fatti veri della storia, o della cronaca, con l’ispirazione poetica. Fare altissima poesia guardando a tutto sub specie aeternitatis».

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