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15 Dicembre 2015

Canessa racconta Enrico Caruso, una vita che è come un romanzo – LA REPUBBLICA

di Pier Luigi Razzano

Le biografie accurate, senza tralasciare di essere appassionate, ristabiliscono verità storica e smontano le leggende riprodotte da fonti incerte. Quella di Enrico Caruso fu un vero romanzo e va ricostruita con l’esattezza di documenti, come fa Francesco Canessa in “Ridi pagliaccio. Vita, morte e miracoli di Enrico Caruso”, pubblicato dall’Edizioni La Conchiglia (volume che l’autore presenta stasera alle 18 all’Operà Cafè del Teatro San Carlo accompagnando la discussione con l’ascolto di rare incisioni d’epoca a Napoli). Quindi nessuna cascata di fischi nel dicembre del 1901 per Caruso, sul palco del San Carlo con “L’Elisir d’amore” di Donizetti, come falsamente riportato negli anni. Piuttosto un’ovazione commossa, fino all’invocazione del bis con la romanza “Una furtiva lagrima”. La deformazione dell’accaduto riguarda l’articolo di Saverio Procida che su “Il Pungolo” scrisse della «potenza rara» di Caruso – «il suo si bemolle è uno squillo nitido e di pie na vibrazione argentina» – per poi affondare la critica, «ma pari alle qualità naturali di un organo privilegiato, a me non risulta il possesso di una sapienza tecnica che disciplini codesti spontanei doni», fino a ritornare alla cronaca della serata con l’evidente accenno al «furor di popolo». Dell’accoglienza calorosa se ne ha traccia anche su “Il Mattino” e il “Roma”, come filologicamente riportato da Canessa. Quindi nessuna pugnalata di ingratitudine da parte di Napoli al figlio dell’operaio di piazza Ottocalli che aveva conquistato i teatri di tutto il mondo. Caruso non cantò più in città dopo quella volta – tranne che nell’occasione privata del diploma al conservatorio della figlia di Salvatore De Luca, titolare della fabbrica dove lavorava il padre, al quale fu sempre affezionato – anche perché la cronologia degli spettacoli dal 1903 al 1920 tra il Metropolitan di New York e il Sudamerica fu fittissima. Un fatto analizzato da Canessa che sostiene la realtà oltre le dicerie.
E proprio l’America fu la seconda patria: lì visse successi, acclamazioni, e dove strinse un profondo legame affettivo con “Monsieur” Amedeo della Canessa Antiquaires sulla Fifth Avenue, rifugio di Caruso nei momenti di sconforto, trascorrendo nella casa d’arte interi pomeriggi a discutere di arte, di cui il cantante era fine conoscitore, diventando collezionista di numismatica, sottile conoscitore di arte presepiale e delle gouache di inizio Ottocento.
Canessa Antiquaires, dei fratelli Amedeo, Ercole e Cesare, con sedi a New York, Parigi e Napoli, furono come una famiglia per Caruso, che poco prima di morire ricordava le giornate spensierate trascorse a Villa Mezzomonte di Capri e il silenzio della loro casa in via Manzoni, lontano da questuanti. Con loro era semplicemente Enrico.
Stasera all’Opera Cafè del San Carlo si presenta “Ridi pagliaccio” Il volume sarà proposto agli appassionati con rare incisioni d’epoca

©RIPRODUZIONE RISERVATA

 

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