di Pier Luigi Razzano
Sfuggenti, ammaliatrici, mai identiche a sé stesse, da secoli protagoniste di centinaia di migliaia di racconti. Capri e le sirene. Si specchiano l’una dentro l’altra. L’isola più misteriosa del Mediterraneo – che nelle sue tante forme comprende anche vacuità e glamour fino all’eccesso – che nel tempo ha attirato a sé innumerevoli artisti soggiogati dalla sua natura enigmatica, e le creature mitologiche, metà donna e l’altra metà uccello oppure pesce, che da Omero fino ad oggi hanno incantato con la loro voce ammaliatrice identica a nient’altro. Entrambe mitiche e leggendarie, per questo Mimmo Oliviero le ha messe insieme in Sirene a Capri. Parthenope, Lighea, Leucosia, dilemmi varietà e mutazioni, un appassionante compendio di storie, leggende, evoluzioni del mito, raffigurazioni pittoriche, scultoree, anche filmiche delle sirene e del loro legame con l’isola; quindi un volume che da un lato è un rigoroso trattato di “sirenologia” e dall’altro un inno d’amore e devozione alla “capritudine”, quel sentimento che contiene al tempo stesso gioia e melanconia secondo la geniale intuizione di Renato Esposito.
Delle tante versioni del racconto, Oliviero per l’abbrivio del suo racconto sceglie quella delle sirene inizialmente ninfe, con corpo interamente umano, punite da Demetra per non aver impedito che Ade rapisse sua figlia Kore, e anche da Afrodite, perché una volta arrivate alla maturità sessuale avevano deciso di dedicarsi all’arte. Tramutate prima in metà uccello, nelle successive e dolorose mutazioni per ritornare a essere ninfe, divennero metà pesce. A riuscirci fu solo Parthenope, che insieme alle sorelle Lighea e Leucosia, giunse a Capri dalla Grecia, sposò il fiume Sebeto, e dai suoi seni gonfi nacque Napoli. Questo il racconto di base che riassume le tante evoluzioni e storie alternative, rinsaldando l’essenza enigmatica del mito. Infatti nelle versioni e le raffigurazioni che si sono succedute, fino al Seicento, al tempo di Giulio Cesare Capaccio e del suo trattato Delle Imprese, non si aveva, a Capri, nessuna traccia di sirene con coda di pesce, e si vedevano, invece volare sull’isola, quindi persisteva questa immagine delle ninfe ancora trasformate in metà uccello. Pertanto, i racconti, anche dopo le versioni dell’antichità, per lungo tempo sono andate in due direzioni, quasi a confermare l’essenza duplice e inafferrabile della sirena. Da ricordare che già in Omero non ci sono indicazioni riguardo l’aspetto delle sirene, sia nel racconto di Circe, quando ne fa riferimento e dà il suggerimento di farsi legare per non lasciarsi trarre in inganno dal loro canto, sia quando, come il testo dell’Odissea dice, “la nave ben fatta giunse veloce all’isola delle due sirene” e le creature divine tentano di ammaliarlo con la loro voce. E quell’isola, grazie a nuove storie, successive suggestioni, potrebbe avvalorare l’ipotesi che sia a tutti gli effetti Capri.
Camminano di pari passo lungo i secoli sirene e Capri, e ogni volta sembrano nascere da un sortilegio, da un momento di incanto, basti pensare al racconto di August Kopish del 1826 che diede inizio al mito della Grotta Azzurra, con l’autore che avventurandosi si ritrovò a nuotare in quel luogo di incanto, in un’acqua che sembrava animata da “fiamme di spirito acceso”. Proprio lì gli sembrò di vedere tritoni e anche sirene. Ogni storia e immagine sono avvolte dalla fuggevolezza, quel che appare è doppio, vero e non vero, reale, un incanto, un sogno concreto, una realtà sconcertante e un mondo con delle creature sempre al confine, proprio come nella raffigurazione data da Salvador Dalì. In La Sirène del 1981, una donna nuda – forse l’altra metà à a coda di pesce ma scompare oltre il quadro – è adagiata su un traforo che richiama inequivocabilmente a quello dei Faraglioni. All’interno l’imbarcazione di Ulisse legato al palo è accerchiata da sirene con il corpo di uccello. Capri e sirene: due leggende, due miti. In ogni caso sempre insieme, protagoniste di una storia che cambia continuamente volto.
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