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Caruso e quei falsi fischi napoletani – IL MATTINO
di Donatella Longobardi
“I fischi del San Carlo a Caruso? Una bufala” Non ha dubbi Francesco Canessa, ex sovrintendente del teatro, appassionato melomane e ricercatore. Oggi presenta la sua ultima fatica letteraria :“Ridi Pagliaccio! – Vita, morte e miracoli di Enrico Caruso” (ed. La Conchiglia, pagg 205, euro 20). Appuntamento alle 18 all’Opera Cafè del Teatro di San Carlo dove Canessa racconterà aneddoti e scoperte sulla vita del grande tenore napoletano con l’ascolto di rare incisioni d’epoca (il libro sarà presentato anche domenica 11 al Teatro Diana e il 21 dicembre al Verdi di Salerno alle 18:30). Ma soprattutto cercherà di ristabilire la verità e sfatare le leggende metropolitane diventate storia col pa
ssare degli anni, a partire dal rapporto che Caruso ebbe con la sua città e il suo teatro.
“Questa storia dei fischi – dice Canessa – non è affatto vera, è stata tramandata senza che nessuno si prendesse cura di verificare”. Detto fatto è partita la ricerca sui giornali dell’epoca, ma anche su archivi americani e italiani. “Mi sono divertito e ho trovato quello che cercavo”. Ecco così riportati già nel capitolo d’apertura i commenti dei giornali napoletani al debutto di Don Enrico nell'”Elisir d’amore” (dicembre 1832), compreso quello su “Il Pungolo” di Saverio Procida dove sono enumerate le perplessità sulla scelta di Caruso di cantare quell’opera, peraltro applaudita in sala con tanto di bis dell’aria più celebre, “Una furtiva lacrima”.
“Quello che più mi dispiace – insiste Canessa – è che quell’equivoco di fondo ha prodotto una vastissima letteratura sul rapporto di Caruso con Napoli, il fatto che egli abbia giurato di non cantare più al San Carlo, l’addio polemico del figlio incompreso, un episodio falso finito anche in tv nella fiction dedicata alla sua vita”. La verità, secondo lo studioso, è che Caruso s’era trasferito negli Stati Uniti dove era diventato una star e poco tempo aveva per cantare non solo a Napoli, ma in tutti i teatri italiani. Tra l’altro, in America, Caruso era diventato un simbolo dell’italianità e soprattutto un ambasciatore della cultura italiana attraverso l’opera lirica in un’epoca in cui l’Italia stava diventando oltreoceano sinonimo di mafia.
Con la sua poliedricità, inoltre, Caruso s’era trasformato in un artista a tutto tondo e un appassionato collezionista d’arte grazie al rapporto intrecciato a New York con Monsieur Amedeo Canessa, fratello del nonno dell’autore che riceveva nella sua galleria-salotto il meglio dell’italianità. Caruso strinse una affettuosa amicizia con tutta la famiglia Canessa e si recò a Capri nella loro villa. Anni dopo una sorella del padre di Francesco Canessa, Elena, sposò il figlio secondogenito del tenore, Enrico jr. detto Mimmi.
©RIPRODUZIONE RISERVATA
I libri delle Edizioni La Conchiglia sono pubblicati anche con un contributo annuo della Regione Campania.
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