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19 Luglio 2003

Il filosofo e la Lectura Dantis – LA REPUBBLICA

di Carlotta Mismetti Capua

ANACAPRI. E’ tutto così romantico Mahier, il tramonto, un elegantissimo filosofo che una signora incorallata come una dama del Seicento sospira: «stasera è il… massimo». Ieri sera il massimo all’ora dell’aperitivo a Capri era Massimo Cacciari che parlava d’amore. Di quello terribile e cortese di Paolo e Francesca, protagonisti infelici del V canto della Divina Commedia, che si dannarono per un libro e per una passione carnale.
Di quale passione (egoista, possessiva, duale) ha dato conto e lettura Cacciari, il più affascinante, il più chic dei nostri filosofi, invitato a questa Lectura Dantis con vista mare (all’hotel Cesare Augusto di Ariacapri) dai sempre attivissimi editori de «La Conchiglia» e da Eugenio Mazzarella, professore alla Federico II. Ad ascoltare il più difficile, il più filosofico e, secondo Cacciari, il più drammatico dei Canti della Commedia, una pletora di signore e signori distinti, napoletani arrivati con l’ultimo aliscafo delle 18 e dieci villeggianti curiosi di Dante ma, di più, incuriositi dall’inconsueto lettore, noto come filosofopolitico.
Tra questi Paolo e Margherita De Feo, Cesare De Seta, Franca Coin, Emilio Fede e signora, Claudio Velardi, Guido Imperiali, Carlo Rolandi. «Vediamo l’effetto che fa», esordisce il professore Mazzarella mentre lo presenta, e giù applausi. L’effetto che fa è che per un’ora e mezza la platea resta zitta e muta, senza nemmeno agitare un ventaglio, ad ascoltare il prestigioso lettore che nell’ordine: si scusa con i dantisti presenti (ma quanti?), si giustifica per questo suo parlare amoroso citando Valery, e spiega che il V è «il canto con il trucco», pare facile ma invece no. Tanto che Dante si commuove e poi sviene (cade come corpo morto cade).
«E’ la grande prova morale per lui, amare sì, ma non un altro che ti corrisponde (amor che nulla amato amar perdona), ma l’altro, il terzo. Questo è il solo amore cattolico». Qualcuno guarda il tramonto romantico, ci rimane male ma non se la sente di dissentire.
«Altro che romanticismo. Quello di Paolo e Francesca è un dramma bello e buono», dice Cacciari. Che poi, subito, si accende di nuovo quando parla delle parole esatte, millimetriche, della grande poesia; lui, che seduce con quelle erretonde tonde. Quasi si infervora quando invece spiega Dante il medievale, per cui solo conta il fare, fare la pace, fare la giustizia, fare la verità; lui, che ha lasciato i suoi libri per quel «fare» (il sindaco a Venezia).

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