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27 Agosto 2014

Quanta bella gente – IL GIORNALE

La piazza mediatica di oggi? Era già in piazzetta a Capri
Monarchi in esilio o esodati, stili «divine» pazze
In un libro l’epopea dell’isola più mondana. Che fu la culla della dolce vita.

 

Tre anni dopo la sconfitta nel Secondo conflitto mondiale, la nuova Italia repubblicana, che aveva finto con se stessa di averlo vinto, lanciò la sua guerra contro «l’uso da parte di giovani bagnanti del cosiddetto “slips”».
Una circolare firmata dal ministro degli Interni Mario Scelba stabiliva, con tanto di disegno allegato a tracciare il solco della morale, le misure del corretto short da spiaggia: inforcatura non inferiore ai 33 centimetri, larghezza non inferiore ai 10, incavo laterale di 3 centimetri e mezzo, fianco di almeno 16, cintura del costume 2,5. La battaglia più aspra venne combattuta a Capri, che dello slip, se non addirittura del nudo integrale, era la roccaforte più pugnace. Contro il ministro in visita nell’isola, un codazzo di giovani inscenò la «rivolta della mutanda», presentandosi sotto l’hotel Quisisana, dove il politico era sceso, e poi sciamando lungo le stradine dell’isola, con costumi da bagno accollati sino alle caviglie, merletti e cuffiette in stile primo Novecento. Di essi faceva parte il diciassettenne Fabrizio Ciano, figlio di Edda e di Galeazzo, in vacanza nella villa di famiglia dopo un anno scolastico passato nel severo collegio dei padri gesuiti di Mondragone. Gli costò l’espulsione, a cui seguì quella del fratello undicenne Maurizio, le prime due vittime a cadere sul campo del pudore. Che Capri fosse un ridotto impossibile da espugnare, Scelba lo capì appena sbarcato. Si era imbattuto prima nella principessa Mananà Pignatelli d’Aragona Cortes e l’aveva scambiata per una vecchia pazza: vestita di nero, la faccia coperta di biacca bianca, gli occhi pesantemente bistrati… Poi era stata la volta del ballerino tedesco Julius Spiegel con le sue mani ricoperte di anelli, una camicia di seta rossa, uno scialle bianco sulle spalle e la papalina di lana sulla testa. «È un esperto di danze giavanesi» gli aveva detto imbarazzato il sindaco… Infine, una volta in piazzetta, era stato tutto un proliferare di teste ossigenate maschili, gambe femminili che sbucavano trionfanti da pantaloncini tagliati ad hoc, un concerto di catene, catenelle, pendagli che ornavano petti irsuti e petti rasati… Nel 1948 a Capri c’è già la dolce vita, dopo la vita dolce che nemmeno la parentesi bellica è riuscita a sradicare. È il campo d’azione di Bob Hornstein, il rampollo omosessuale di una famiglia americana che ha fatto fortuna con i Cats food, il cibo in scatole per i gatti. Sta alla villa Capricorno in via Tragara, e le sue feste fanno epoca. È la patria di Chantecler, all’anagrafe Pietro Capuano, gioielliere che ha lanciato la moda del poncho, ha come cameriere e custode un sordomuto, è il cavalier servente di Edda Ciano, cosa che, al tempo del fascismo, ha rischiato di farlo confinare a Carbonia, con l’accusa di essere nullafacente. È allora che, racconta, per trovarsi un lavoro ha scelto, come professione, in ossequio al Duce, quella di odiatore degli inglesi… Soprattutto, è il regno di Rudy Crespi e di Dado Ruspoli, belli, ricchi, titolati e variopinti: gilet e pantaloni da torero, corvi sulla spalla e felini al guinzaglio, eccessi e bagordi, belle ragazze e trasgressione, quell’insieme di ironia, ridicolaggine, gusto e cattivo gusto che di lì a poco troverà la sua apoteosi nel cinematografico L’imperatore di Capri di Totò. Mai come da quando l’Italia è una repubblica e i titoli nobiliari non contano più, Capri è il paradiso di principi e marchesi, duchi e baroni, veri e falsi, di nuovo e vecchio conio, nonché di monarchi in esilio, monarchi spodestati, monarchi dimissionari. Del Gotha aristocratico, il più divertente, dopo Sua altezza imperiale Antonio Griffo Focas Flavio Dicas Comneno Porfirogenito Gagliardi de Curtis di Bisanzio, insomma il già citato Totò, al quale l’isola deve l’invenzione degli spaghetti alla puttanesca, propri «di una salsa che se la fa con troppi mariti», il più divertente, dicevamo, è il principe Francesco Caravita di Sirignano, detto Pupetto. Si definisce un uomo rovinato dal lavoro… Se si fosse limitato a vivere di rendita, aggiunge, sarebbe rimasto ricco, anzi ricchissimo, e invece… Imparentato con i siciliani principi di Lampedusa, discende dall’antico ceppo della Januaria gens, la stessa di San Gennaro: quando il sangue del santo si liquefa nella Cattedrale, un macchia di colore rosso vermiglio gli compare sulla nuca. Erededi una quantità inesauribile di zie facoltose e zitelle, ogni volta che l’età ne fa somparire  una, avverte il proprietario del ristorante «La Canzone del mare»: «Izzo, mi è morta una zia, portami il conto!». Pilota di auto sportive, cercherà di rinverdire sull’isola gli allori della Targa Florio. A uno spettatore che,  pensando di averlo riconosciuto, democraticamente gli ha gridato «Ma tu, si’ Pupetto?», ha risposto: «No, so pu’u’ culo». Fra le teste coronate spicca quella di Farouk d’Egitto, che Capri ospita come re in carica e, un anno dopo, come re in fuga e senza corona. Ha trent’anni, è alto un metro e ottanta, pesa 130 chili, viene soprannominato «il terzo Faraglione» oppure «Farukkone».Si innamorerà di Irma Capace Minutolo, diciottenne con velleità artistiche. Staranno insieme quattordici anni, fino alla morte del sempre più pingue ex monarca. Al funerale, oltre i parenti stretti, ci sarà una fila dimaîtres d’hotel, camerieri, gestori di locali notturni.

Dalla «guerra degli slip» alla morte di Farouk passano diciassette anni e a metà degli anni Sessanta Capri è ormai un’altra cosa rispetto a ciò che era stata prima. Per la verità, è un ritornello già sentito: chi aveva vissuto la Capri fra le due guerre, come Norman Douglas, aveva guardato con disgusto quella postbellica che ne aveva preso il posto, e così faranno i «giovani leoni» che l’avevano immortalata e che ora si ritrovavano spodestati dal vento forte del miracolo economico e dalle prime avvisaglie della contestazione. Chi non farà in tempo a vederne gli effetti sarà Curzio Malaparte, che a Capri era stato amato e odiato e poi di nuovo amato, come nessun altro. Sua la villa più bella e discussa; suo un libro, La pelle, che gli era valso la messa al bando; sua la storia d’amore più tragica, con un’americana pazza suicidatasi per lui. Sua anche la definizione dell’antifascismo di professione, paragonato agli Etruschi che legavano strettamente, bocca a bocca, ventre contro ventre, i propri prigionieri a dei morti, «così che, a poco a poco, il cadavere divorava l’uomo»… Di tutto ciò, e di molto altro ancora, dà conto Capri 1950. Vita dolce vita di Marcella Leone de Andreis (La Conchiglia, pagg. 398, euro 35), compendio riccamente illustrato di personaggi, scandali e imprese. Gli svaghi degli intellettuali di grido e gli eccessi dei divi, le passeggiate della nomenklatura comunista e i maneggi della rampante Democrazia cristiana locale. C’è spazio per Lucky Luciano e Rita Hayworth, per un innamorato Pablo Neruda e per un perfido Roger Peyrefitte. Alternando documenti d’epoca, testimonianze inedite, memorie e ricordi, l’autrice ritrae un’epoca e un luogo in cui il divertimento assume i contorni del mito. Il capodanno che chiude il decennio dei Cinquanta vede in un locale notturno il parlamentare del Pci Clemente Maglietta ripreso duramente da Massimo Caparra, suo compagno di tavolo, nonché segretario particolare del «Migliore», ovvero Palmiro Togliatti. «Andiamo al porto, a parlare con i marinai, col popolo vero – gli dice mentre scoppiano i fuochi d’artificio e saltano i tappi di champagne -. Questa gazzarra mi disgusta». È scoccata l’ora della «questione morale» e non ce ne libereremo mai più.

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