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Virilismo alla caprese – L’UNITÀ
di Edoardo Sanguineti
Scrisse una volta Giacomo Debenedetti, in un intervento poi accolto nella seconda serie dei suoi Saggi critici, che il «marciare non marcire» di Marinetti era di fatto «smentito, rimangiato da almeno tre contromarce». La formula ebbe fortuna, e meritata. E le contromarce sono forse anche più di tre (quella «intellettualistica» e «oratoria» e «sentimentale»). E se è vero che Debenedetti discorreva del Poema Africano della Divisione «28 ottobre» (1937), si tentava, da parte sua, una descrizione globale, almeno indiziariamente. E Capri, si sa, è un luogo cruciale per chi voglia misurare tutte le ambivalenze marinettiane, e più largamente futuristiche, in blocco. L’erotismo di Filippo Tommaso, ad ogni modo, è un terreno particolarmente propizio per misurare, al di là di tutte le oscillazioni e ambiguità dell’uomo e dello scrittore, le costanti che hanno strutturato il suo percorso esistenziale e culturale. In effetti, il virilismo futurista, comunque declinato e argomentato, rimane un punto fermo, nella sua lunga vicenda, con una vivace catena simbolica di angosciosa protesta machista e di una ossessiva e conclamata omofobia. Che sarà uno dei tratti più caratteristicamente caratteriali del prefascismo futurista, prima assai che esso si faccia esplicitamente mussoliniano.
Si può partire, volendo, da uno dei manifesti meno celebrati e considerati, ma degno invece di molta attenzione, che è quello Contro il lusso femminile, datato da Milano, 11 marzo 1920. Marinetti vi denuncia quella che è ormai, ai suoi occhi, «una vera malattia, che si può chiamare toalettite». Sintomo di una piena mercificazione universale del corpo femminile, abbellito dalla toilette, questa offerta di piena prostituzione, presente «in tutti i ceti», per un «mercato di maschi compratori», ha, come conseguenza principale, un indebolirsi del desiderio e dell’orgoglio virile. «Il maschio – scrive Marinetti – perde a poco a poco il senso potente della carne femminile e lo rimpiazza con una sensibilità indecisa e tutta artificiale, che risponde alla sete, ai velluti, ai gioielli, alle pellicce». E «la toalettite favorisce singolarmente lo sviluppo della pederastia e si dovrà presto giungere a quel provvedimento igienico di un doge di Venezia, che obbligò le belle veneziane ad esporsi colle poppe ignude dalla finestra, fra due candele, per ricondurre i maschi sulla retta via». Per altro, «soltanto una donna concorrente o una pederasta valuta i dettagli delle sottovesti femminili. Il maschio, anche raffinato e artista, giudica in blocco l’assieme piacevole della donna che si sveste davanti a lui», apprezzandone «l’intelligenza fisica».
I futuristi, «barbari raffinatissimi, ma virilissimi», parlano «in nome della razza», che esige «maschi accesi e donne fecondate», poiché la fecondità è, «in caso di guerra, la sua difesa indispensabile, e in tempo di pace la sua ricchezza di braccia lavoratrici e di teste geniali». Insomma, come si proclama in conclusone, «in nome del grande avvenire virile fecondo e geniale dell’Italia, noi futuristi condanniamo la dilagante cretineria femminile e la devota imbecillità dei maschi che insieme collaborano a sviluppare il lusso femminile, la prostituzione, la pederastia e la sterilità della razza». Di qui alla Difesa della razza, diretta da Telesion Interlandi (ii primo numero apparirà ii 5 agosto 1938), trascorreranno molti anni, per non dire adesso di certo celodurismo oggi diano, ma, ideologicamente parlando, non c’è che un passo.
Questo virilismo guerriero e razzista di Marinetti, come ha radici culturali assai più antiche e complesse, è poi facilmente retrodatabile anche nella storia più breve del futurismo e dei suo promotore. Un esempio, insieme illuminante e bizzarro, è L’isola dei baci, «romanzo erotico-sociale» che Marinetti firmò insieme a Bruno Corra, e che viene ora ristampato, dopo lunghissimo oblio, a cura di Sergio Lambiase, presso le edizioni La Conchiglia di Capri. Già, Bruno Corra. Ma chi era costui ii più rilevante tentativo di attirare una qualche attenzione non meramente specialistica sopra la sua figura fu compiuto nel ’70, quando a rieditare ii suo «racconto insolito» Sam Dunn è morto, presso Einaudi, intervenne Mario Verdone, che, tra l’altro, nell’84, presso l’editore Longo di Ravenna, raccoglierà i Manifesti futuristi e scritti teorici di Arnaldo Ginna e Bruno Corra. Ebbene, questo Carneade fu, ai secolo, il conte Bruno Ginanni Corradini, ravennate, nato nei 1892 e morto Varese nei 1976. Fu Giacomo Balia che, per i fratelli Ginanni Corradini, Arnaldo pittore e regista, e Bruno appunto narratore e drammaturgo, escogitò gli pseudonimi Ginna (da Ginanni) e Corra (da Corradini), con allusione alla «ginnastica» e al «correre», in omaggio al dinamismo futurista. E fu L’Italia Futurista che raccolse, accanto a questi di oscuri, un gruppo che comprendeva, tra gli altri, Settimelli, Carli, Chiti, Conti e Maria Ginanni, la moglie di Arnaldo, l’autrice’ obliatissima delle Montagne intelligenti (1917). Ma, per tornare a Bruno, chi ha più ripreso in mano, tanto per dire, I matrimoni gialli o Perché ho ucciso mia moglie, Il Toro o Alta società, L’uomo che guariva le donne o La famiglia innamorata, Femmina bionda o La corsa al piacere?
La Capri futurista, cui ha dedicato un utile volumetto antologico, nei 2001, presso Guida di Napoli, Ugo Piscopo, raccogliendo documenti che vanno dal ’22 al ’39, e da Marchi a Cangiullo, è proprio, prima di tutto, L’isola dei baci. E si tratta di un’opera, come scrisse Corra in prefazione (Questo libro mi piace), «che rimane fuori dalla letteratura». Se ciò accade, non è tanto per quelle ragioni eversive che sono addotte dal coautore, che ne vanta «la villania stilistica», ma perché, affidandosi alla simpatia divertita che spera ottenere «da ufficiali, da professionisti, da studenti, da industriali, da signore», è tra i monumenti inaugurali di quella vasta sottoletteratura di consumo che rientra nel giuoco di marce e contromarce avviate da Marinetti in prima persona, e subito, tra sperimentazione ribellistica e trivialità mondana.
Ecco, comunque, in forma di romanzetto rosa, la storia di un «Congresso Rosa» con cui un gruppo di turisti misteriosi, che si rivela essere una congrega di omosessuali di varia nazionalità, intende fondare la «Nuova Religione Internazionale» degli invertiti. Ma i due autori della narrazione, che intervengono direttamente nel narrato, sventeranno il tentativo, alla testa di un drappello di donne inferocite. I congressisti proclamano: «Siamo figli dell’Elesponto divino e come tali dobbiamo aborrire tutto ciò che il mondo moderno meccanico ci ha portato di laido, di stupidamente veloce, di pratico e di volgare… Noi dobbiamo bandire una crociata contro la luce elettrica e contro la velocità dei treni. Abbasso le biciclette, le motociclette e gli automobili che deformano a divina bellezza degli uomini». Adoratori di Rolland e Croce, Boni e Toscanini, elaborano un «programma di disarmo antifemminile, antimoderno» e dichiarano che «Capri, languidamente coricata sul mare, con la snella vita flessuosa vellutata di vigne, tutta trasudante un vino delizioso, è l’unica terra paradisiacamente neutrale e internazionale». Espulse tutte le donne dall’isola, promossa a capitale dell’omosessualità, l’umanità sarà «liberata dalla violenza, dal progresso, dalla guerra e dalla rivoluzione», vivendo disarmata, blanda, mite, imbelle. «Raffinati di tutto il mondo, unitevi! Dopo la lotta di classe, la lotta di sesso! L’amore normale è un delitto! Abbasso la donna!». Il rovesciarsi del futurismo in passatismo è così allegorizzato dal rovesciarsi dell’eterosessualità nell’inversione sessuale. Ma, per l’equivalenza delle figure, il rifiuto del passato è leggibile come mera sublimazione e mera copertura di una infrenabile protesta virile. E può avere principio, da questo giuoco di specchi, finalmente, una lettura psicoanalitica di Marinetti e del futurismo, a integrazione e conferma della sua interpretazione politica e ideologica. Si tratta, lo abbiamo rilevato, non a caso, di un «romanzo erotico-sociale».
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